
L’attenzione può essere definita come l’insieme dei processi neuropsicologici che consentono di concentrare la consapevolezza su aspetti rilevanti dell’ambiente esterno e contemporaneamente di inibire stimoli distraenti (Vallar & Papagno, 2007). Detto diversamente, l’attenzione è come un filtro che stabilisce quali sono le informazioni rilevanti da elaborare in maniera consapevole, e quali le informazioni irrilevanti da ignorare, permettendo di controllare l’ambiente e mettere in atto comportamenti adeguati alle situazioni.
Alcuni stimoli anche se irrilevanti per la risposta del soggetto riescono ad accedere alle fasi di elaborazione consapevole, motivo per cui, progressivamente stata abbandonata l’idea del filtro attentivo e si è cominciati a riferire all’attenzione progressivamente in termini di qualità e quantità. L’attenzione quindi agirebbe come un meccanismo deputato alla programmazione e al controllo dei processi cognitivi in relazione agli scopi del soggetto evitando stimoli che ostacolano il funzionamento cognitivo (Kahneman, 1973).
L’attenzione riveste un ruolo fondamentale nell’apprendimento scolastico, in quanto chi non presta attenzione non riesce ad acquisire le abilità e le conoscenze necessarie. Si calcola che circa il 40% dei soggetti con disattenzione presenta anche una difficoltà di apprendimento (DuPaul & Stoner, 1992), ovvero ha prestazioni scolastiche inferiori alla media in presenza di un buon livello intellettivo.
Attualmente si ritiene che le possibili relazioni causali tra difficoltà di apprendimento e di attenzione siano tre:
– le difficoltà di apprendimento determinano disattenzione impulsività (e a volte iperattività);
– le difficoltà di attenzione determinano ritardi di apprendimento;
– le difficoltà attentive e di apprendimento possono coesistere.
In un recente articolo del 2015 Franceschini e colloaboratori hanno cercato di fare il punto sullo stato attuale della ricerca scientifica riguardo alla relazione fra dislessia evolutiva e attenzione visuo-spaziale. Passando in rassegna molte ricerche sull’argomento, gli autori ritengono che valutare le funzioni attentive aiuterebbe a individuare i “futuri” bambini dislessici.
L’attenzione visuo-spaziale nella lettura agirebbe come un faro che permette un’iniziale elaborazione grossolana dell’informazione visiva, riconducibile all’attività delle cosiddette vie magnocellulari-dorsali (Gori et al., 2014) per poi essere orientato in una parte più ristretta del campo visivo, a sinistra della parola da leggere, spostandosi rapidamente sulla lettera a destra e così via. I meccanismi più linguistici di lettura (elaborazione fonologica, conversione grafema fonema, il mantenimento dei fonemi in memoria a breve termine e conseguente fusione di essi) interverrebbero solo successivamente.
Si tratta quindi di un processo di ricerca visiva seriale, e già molti anni fa alcuni autori mostrarono che persone lente in questo tipo di attività sono anche più lente e meno accurate nella lettura (Casco, Tressoldi, Dellantonio, 1998).
Inoltre Franceschini e colleghi (2012) hanno studiato la connessione fra l’attenzione visuo-spaziale in bambini prescolari e la successiva acquisizione della lettura, mettendo in luce come quelli che prestazioni più basse nei compiti attentivi predicono maggiori difficoltà di lettura al primo anno di scuola primaria; il 60% dei bambini che in futuro si riveleranno dislessici hanno difficoltà di tipo attentivo.
Partendo da queste premesse, i ricercatori avanzano l’ipotesi che si possano allenare preventivamente le capacità attentive per favorire la futura acquisizione della lettura. Per ora diversi studi hanno dimostrato come determinati training attentivi (basati prevalentemente sull’uso di videogiochi d’azione) producano miglioramenti sulla lettura. Per il momento di tratta di studi condotti su individui già scolarizzati (Franceschini, et al., 2013; Gori et al., 2014) . La ricerca futura avrà quindi il compito di verificare l’utilità di tali training in soggetti con età prescolare.
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