BENESSERE (Scolastico) a TAVOLA


Numerosi studi confermano il ruolo svolto dalla qualità della dieta e delle abitudini alimentari sul rendimento scolastico. I comportamenti alimentari sono di grande interesse a causa del significativo impatto sullo sviluppo fisico, mentale e cognitivo che si verifica durante l’infanzia e l’adolescenza e che si traduce nel più alto fabbisogno di nutrienti rispetto a qualsiasi altro momento del ciclo di vita (Gómez-Pintilla, 2008). 
Vale la pena precisare che il rendimento scolastico è influenzato da un’ampia gamma di fattori, tra cui il genere  e le caratteristiche della famiglia, come lo stato socio-economico, il livello di istruzione dei genitori e l’atteggiamento complessivo nei confronti della scuola (Sirin, 2005). Altri aspetti che possono influenzare il rendimento accademico sono le caratteristiche individuali proprie dello studente, come la motivazione e l’attitudine, e le caratteristiche dell’ambiente di apprendimento, come la qualità degli insegnanti e le risorse scolastiche (per una trattazione più esaustiva, cfr. Burrows et al., 2017b).          

Molti altri studi hanno messo in evidenza come anche l’attività fisica e un sonno adeguato possono migliorare il funzionamento cognitivo, e quindi il rendimento scolastico;  di questi ultimi due aspetti se ne parlerà in un prossimo articolo.      

Recentemente, Burrows e colleghi (2017a) hanno confrontato gli studi disponibili in merito alla relazione tra alimentazione e rendimento degli studenti universitari (collage); dei 7 studi inclusi,  ben 5 confermano l’esistenza di una relazione tra dieta e rendimento accademico. Nello stesso anno Burrows e collaboratori (2017b), confrontano i risultati di oltre 40 studi che indagano il rapporto tra alimentazione e rendimento scolastico in studenti in età scolare (dai 5 ai 18 anni), giungendo alle medesime conclusioni.   
Nello specifico, prestazioni accademiche migliori sono associate a: consumo regolare della  colazione, assunzione di frutta e verdura, minore assunzione di cibi ad alto carico glicemico e poveri di nutrienti (i così detti “cibi spazzatura“, ci sarà un motivo se sono chiamati così), accanto a un minor consumo di bevande zuccherate.    
Le abitudini alimentari sembrano influenzare il rendimento scolastico, principalmente per  i micronutrienti contenuti nei cibi che hanno ruoli essenziali nello sviluppo e nel funzionamento del cervello. I micronutrienti che più comunemente sembrano essere in grado di migliorare positivamente le prestazioni accademiche sono l’acido folico, il ferro, la vitamina B12 e la riboflavina o vitamina B2, (Hulett, 2014) e lo zinco  (Ghioni et al., 2011). Un ruolo particolarmente importante ed indispensabile è svolto dagli omega 3 (Sørensen, et al., 2015).     

Qui di seguito una serie di corrette abitudini a tavola per favorire attenzione, memoria, apprendimento e, quindi, per migliorare il rendimento scolastico.

1) Mai saltare la colazione

La colazione rappresenta il pasto più importante della giornata. Al risveglio, l’organismo è reduce da un digiuno prolungato di 10-12 ore di sonno, è importantissimo quindi rifornirsi di “carburante” per affrontare al meglio sin da subito la giornata.  È importante precisare che il cervello per funzionare utilizza prevalentemente il glucosio (C6H1206) circolante nel sangue inoltre e che necessita di un enorme quantitativo di carburante: i neuroni (le cellule nervose) bruciano infatti circa il 20% delle calorie ingerite e il 30% del glucosio presente nell’organismo.         
Numerose ricerche (Adolphus, et al., 2013; Burrows et al., 2017b, solo per citarne alcune) indicano come i bambini che fanno una colazione ricca e bilanciata sono più attenti e bravi in classe, mentre quelli che la saltano hanno difficoltà a seguire le attività didattiche, sono più pigri e distratti. Come iniziare, allora, la giornata con il piede giusto? Serve un mix di zuccheri semplici, che danno la carica immediata, e zuccheri complessi, cioè a lento rilascio.

Clicca Qui per scaricare il PDF che contiene alcuni esempi di colazione

2) Attenti ai cibi dolci e pieni di zucchero

Per assicurare al cervello il giusto, costante apporto d’energia bisognerebbe evitare i picchi glicemici. Ci sono alimenti, come dolci, bevande zuccherate, cereali raffinati, farine bianche, che provocano un’impennata della glicemia, seguita poco dopo, da un brusco calo. In sintesi, funziona così: quando la glicemia sale in fretta, il pancreas libera una grande quantità d’insulina che abbassa rapidamente il glucosio in circolo; naturalmente il glucosio in circolo non viene “cancellato”; si trasformerà in riserva energetica, in termini di trigliceridi, ovvero grassi nelle nelle cellule adipose, come di riserva di glicogeno nei muscoli e nel fegato. Contemporaneamente il calo glicemico manda il cervello in sofferenza e fa scattare il senso di fame, funzionale all’ottenimento di altro carburante. Mangiare quindi  cibi ad alto carico glicemico (o anche solo ad alto potere dolcificante) provoca un rapido abbassamento glicemico, con conseguenti cadute attentive, perdita di concentrazione, sonnolenza (il classico abbiocco dopo una mangiata pesante – la sonnolenza post-prandiale) accanto ad un accumulo di grasso.   
Molti studi (cfr. Verbernel, 2016, per una trattazione più approfondita) hanno inoltre messo in evidenza come una dose concentrata di zucchero fa salire di 10 volte il livello di adrenalina  nel sangue, provocando ansia, irritabilità, iperattività o aggressività.     
L’ideale è quindi preferire alimenti a “basso indice glicemico”, come pane e pasta integrali, cibi semplici e poco raffinati, frutta e verdura: così la glicemia sale piano, viene rilasciata poca insulina, e il cervello è ben nutrito per molte ore.            

Clicca QUI per scaricare la tabella degli indici glicemici degli alimenti


3) No alle bevande zuccherate e ai succhi di frutta industriali


Anche i succhi di frutta e le bevande zuccherate contengono tantissimi zuccheri (si veda l’immagine e la didascalia descrittiva) e pochissime vitamine, anche perché, per garantire una maggiore conservazione, durante il processo di lavorazione devono subire un processo di pastorizzazione che, a causa del calore, distrugge quasi del tutto gli enzimi e le vitamine.


In questa immagine sotto ogni bibita una busta ripiena di zucchero ad indicare quanto ne contiene. Per fare un confronto corretto sulle quantità bisognerebbe prendere in esame le bibite con lo stesso formato e non confezioni tutte diverse. Ad ogni modo, i contenuti di zuccheri contenuti in ciascuna bibita sono i seguenti: che sono i seguenti:
Acqua: 0,0 gr per confezione; 0,0 per 100 ml
Latte e cioccolata: 11 gr per confezione; 5,5 per 100 ml
Multivit Ananas Kiwi e Arancio: 24 gr per confezione; 12 per 100 ml
Bevanda al gusto d’arancio: 27 gr per confezione; 13,5 per 100 ml
Red Bull: 27 gr per confezione; 11 per 100 ml
The Freddo al limone: 36 gr per confezione; 7,2 per 100 ml
Coca Cola: 39 gr per confezione; 10,6 per 100 ml
Da notare come bevande apparentemente innocue, come i succhi di frutta o quelle al gusto di frutta contengono ben più zuccheri della tanto attaccata Coca-Cola. Attenti quindi a ciò che fate bere ai vostri figli nell’intento di dissetarli.

 4) Cinque pasti al dì

Le cellule cerebrali (i neuroni) pur consumando molto glucosio (circa il 30% del glucosio giornaliero introdotto) non possono immagazzinare energia; questo aspetto sarà trattato in maggiore dettaglio in un prossimo articolo. Quindi, nell’ottica di non lasciare i neuroni “a secco” di carburante, oltre ai tre pasti principali – colazione, pranzo e cena – per i bambini è irrinunciabile lo spuntino di metà mattina e di metà pomeriggio. Vanno bene un frutto, uno yogurt, un succo fatto in casa, una spremuta, … l’importante è che gli spuntini non siano mai troppo abbondanti e pesanti. Per digerire un cibo troppo complesso, lo stomaco, infatti, recluterebbe un quantitativo maggiore di sangue, sottraendolo al cervello.

5) Non dimenticare l’acqua

Anche la disidratazione può ridurre le capacità di apprendimento, oltre a provocare stanchezza, affaticamento e difficoltà di concentrazione. La riduzione del 2% del livello ottimale di idratazione è sufficiente a ridurre la funzionalità cerebrale, in termini di riduzione della trasmissione e conduzione dei segnali nervosi e trasporto delle sostanze neurotrofiche.
I livelli di idratazione sono inoltre funzionali a “diluire” sostanze potenzialmente tossiche o nocive (cioè infiammanti) che ingeriamo con l’alimentazione e/o che accumuliamo semplicemente nel corso della giornata, facilitandone la successiva eliminazione, attraverso le urine, il respiro e il sudore.

6) Sì ai cibi che contengono ferro

Gli studi in materia hanno confermato che il ferro non solo influenza le performance fisiche (perché serve a formare i globuli rossi e a trasportare l’ossigeno nel sangue), ma anche le performance cognitive. Un minimo deficit di questo minerale – senza spingersi fino ai livelli dell’anemia vera e propria – è sufficiente per diminuire la memoria, abbassare il quoziente intellettivo e compromettere le capacità di apprendimento.           
Meglio, quindi, fare il pieno di ferro. Il 70% proviene dai vegetali: patate, carote, broccoli, pomodori, germe di grano, cereali, ma anche legumi e frutta secca. E poi, carne rossa, uova, fegato, pollame …. Un consiglio: una spruzzata di limone sul piatto aumenta fino al 20% l’assorbimento del ferro nell’organismo, grazie alla vitamina C e all’acido citrico.


7) Viva gli omega-3

Alti livelli di omega-3 sono associati a un maggior numero di sinapsi, cioè collegamenti cerebrali, e quindi a un miglior rendimento intellettivo. Tra gli altri benefici, permettono inoltre di ridurre il colesterolo nel sangue. Ne sono ricchi il pesce e i semi oleosi. In merito al consumo di pesce (ricco di omega-3 e fosforo) è bene seguire alcuni accorgimenti per ridurre al minimo il rischio di ingerire metalli pesanti e metil-mercurio, neurotossici, ovvero in grado di influenzare in maniera sensibile il funzionamento cerebrale. Bisognerebbe preferire pesci provenienti dagli oceani o dai mari polari (perché le acque sono meno sporche rispetto al Mediterraneo); pesci che nuotano a media profondità (perché meno a contatto con i metalli pesanti che precipitano sul fondo e con gli idrocarburi che galleggiano in superficie); evitare, infine, pesci di grossa taglia, perché accumulano più inquinanti, in favore di quelli di piccole e medie dimensioni.

Si ricorda inoltre che accanto a buone abitudini alimentari è fondamentale prevedere una dieta variegata e bilanciata. In questo modo l’organismo può “assemblarsi” da solo le sostanze di cui necessita e rifornirsi di quei “mattoncini” che possono essere assimilati solo ed esclusivamente attraverso l’alimentazione.

Le informazioni contenute in quest articolo hanno solo un valore informativo e non hanno la pretesa di sostituire il parere di un medico o una consulenza specialistica. 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

*Adolphus, K., Lawton, C. L., Dye, L. (2013). The effects of breakfast on behavior and academic performance in children and adolescents. Frontiers in Human Neuroscience,7: 425.

*Burrows, T. L.,  Whatnall, M. C.,  Patterson, A. J, &  Hutchesson M. J. (2017a). Associations between Dietary Intake and Academic Achievement in College Students: A Systematic Review. Healthcare (Basel), 5(4).          

*Burrows, T., Goldman, S., Pursey, K., & Lim. R. (2017b). Is there an association between dietary intake and academic achievement: a systematic review. Journal of Human Nutrition and Dietetics (30) 2, 117-140.          

*Ghioni, G., Zucchella, M., Nardi, T., Lombardi, P., Covini, C., Verri, M., Barbieri, A., D’Agostino, L., & Boschi, F. (2011) School performance is associated with dietary iron and zinc intake in adolescent girls. Current Topics in Nutraceutical Researc, 9 (3): 71-76.        

*Gómez-Pinilla, F. (2008). Brain foods: The effects of nutrients on brain function. Nature reviews. Neuroscience, 9(7): 568–578.    

*Hulett, J. L., Weiss, R. E., Bwibo, N.O., Galal O. M., Drorbaugh, N., & Neumann C. G. (2014).Animal source foods have a positive impact on the primary school test scores of Kenyan schoolchildren in a cluster‐randomised, controlled feeding intervention trial.British Journal of Nutrition, 111 (5): 875-886.        

*Sirin, S.R. (2005). Socioeconomic status and academic achievement : A meta-analytic review of research. Review of Educational Research Fall, 75 (3): 417–453.

*Sørensen, L. B.,  Damsgaard, C. T.,  Dalskov, S-M., Petersen, R. A., Egelund, N., Dyssegaard, C. B., Stark, K. D., Andersen, R., Tetens, I., Astrup, A., Michaelsen, K. F., & Lauritzen, L. (2015). Diet-induced changes in iron and n-3 fatty acid status and associations with cognitive performance in 8–11-year-old Danish children: secondary analyses of the Optimal Well-Being, Development and Health for Danish Children through a Healthy New Nordic Diet School Meal Study. British Journal of Nutrition, 114 (1028), 1623-1637.    

*Verberne1, A. J. M.,  Korim, W. S.,  Sabetghadam. A., & Llewellyn-Smith, I. J. (2016). Adrenaline: insights into its metabolic roles in hypoglycaemia and diabetes Correspondence. British Journal of Pharmacology, 173: 1425-1437.

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DSA: certificazioni in aumento

Le difficoltà più o meno specifiche negli apprendimenti scolastici (che spesso transitano in una diagnosi di DSA)  negli ultimi anni sono in crescente aumento; stando al report pubblicato dal Miur , in merito all’anno scolastico  2017/2018, le diagnosi certificate di DSA sono state 276.1099 che, su una popolazione studentesca di 8.582.920, corrisponde al 3,2% della popolazione scolastica. Confrontando le statistiche riportate dal Miur negli anno precedenti, si assiste ad un incremento costante; a partire all’a.s 2014/2015 è stato rilevato un aumento delle diagnosi certificate pari allo 0,4%, nell’ultimo anno invece l’incremento è stato dello 0,3%.        

Ma si tratta davvero sempre di disturbi? L’aumento delle diagnosi riflette, almeno in parte, una maggiore conoscenza e attenzione sul problema, al punto da fare emergere ciò che fino a qualche anno fa era sommerso. Al contempo, è estremamente importante non confondere un disturbo da una difficoltà negli apprendimenti scolastici.       

Secondo gli psicologi Tressoldi e Vio (2008), ciò che più di tutto aiuta a distinguere un disturbo da una difficoltà è la resistenza al cambiamento. Per verificare la presenza di una resistenza all’insegnamento è opportuno attivare, dopo una prima fase di insegnamento uguale per tutti gli studenti, una seconda fase di potenziamento, in cui le proposte didattiche sono personalizzate sui bisogni specifici dell’alunno. Se i risultati a fronte di questo periodo non sono soddisfacenti si può parlare di resistenza al cambiamento legata, probabilmente, alla presenza di un disturbo.  
Un altro aspetto che ci aiuta a distinguere tra difficoltà e disturbo è dato dalla misura dell’automatizzazione di alcuni processi legati all’apprendimento della lettura, scrittura e delle abilità numeriche e calcolo. Dal primo anno della scuola primaria in poi si assiste, generalmente, ad una naturale progressione delle abilità di letto-scrittura; ad esempio, in merito alla lettura di un brano, i dati italiani indicano un’ incremento di mezza sillaba al secondo per ciascun anno scolastico, almeno fino al terzo anno della scuola secondaria di primo grado. In merito alla scrittura, invece, la progressione è di circa 10 grafemi all’anno. Nei ragazzi con dislessia invece, la velocità di lettura aumenta ad un ritmo “dimezzato”. Questo “ritardo” è un segno della resistenza all’automatizzazione.    

Quindi, è fondamentale l’attuazione di una prima fase di potenziamento e personalizzazione delle proposte didattiche; se in seguito a tali adattamenti didattici non si assiste ad un miglioramento o cambiamento sarà poi necessario richiedere un intervento diagnostico e specialistico per accertare la presenza del disturbo. Ciò è quanto indicato dall’Accordo sancito fra Stato e Regioni nel luglio 2012 in merito alle “Indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei Disturbi specifici di apprendimento (DSA)” : «… il percorso diagnostico deve essere attivato solo dopo la messa in atto da parte della scuola degli interventi educativo-didattici previsti dall’articolo 3, comma 2, della legge 170/2010…».    

Per distinguere correttamente un disturbo da una difficoltà , e per formulare quindi una diagnosi corretta, è necessario osservare e valutare la resistenza al trattamento. In presenza di difficoltà non specifiche, con strategie di insegnamento corrette e mirate, si assiste generalmente ad un miglioramento significativo delle capacità del bambino. Nel disturbo, invece, gli apprendimenti scolastici continuano a non essere adeguati, in base a quanto atteso per età e scolarità.  
Ad ogni modo, prima della fine della 2° elementare (per le abilità di lettura e scrittura) e della fine della 3° elementare (per le abilità numeriche e di calcolo) non è possibile fare una diagnosi [per maggiori informazioni sui tempi e sulle modalità diagnostiche, clicca QUI]; qualora a questa età, il problema dovesse mantenersi stabile, allora si potrà sottoporre il bambino ad un iter diagnostico e procedere a formulare una diagnosi. Nel caso in cui, al contrario, si dovesse procedere direttamente alla diagnosi senza aver prima provato a potenziare le capacità del bambino, o averlo affiancato durante il suo sviluppo cognitivo, si corre il rischio di confondere una difficoltà con un disturbo e quindi di avere un falso positivo.

Insomma, spesso, la causa reale delle difficoltà negli apprendimenti è l’immaturità del bambino: spesso il bambino non è ancora pronto perché non ha raggiunto i prerequisiti necessari per avvicinarsi alla letto-scrittura.        
Quello che purtroppo sembra stia succedendo è che nel dubbio tra difficoltà e disturbo, si sceglie di certificare il disturbo, per non correre rischi; perché è più facile gestire in classe un bambino con certificazione che educare un bambino che magari ha tempi più lunghi degli altri e ha bisogno quindi di un’attenzione particolare da parte dell’insegnante; anche i genitori inoltre si sentono tranquillizzati: finalmente pensano di aver capito come mai il figlio non va bene a scuola.

Questo eccesso di medicalizzazione può però essere paragonato alla moda degli anni ’70 di togliere le tonsille e all’abuso di antibiotici. Queste due pratiche non solo non si sono dimostrate utili, ma addirittura dannose. Anche una diagnosi certificata non giustificata può infatti provocare seri danni, con il rischio di limitare le effettive opportunità di apprendimento dello studente.
Invece delle certificazioni sarebbe più utile una didattica che rispetti i ritmi del bambino. Se un alunno fa fatica a leggere, sarebbe il caso di aspettare, dargli tempo e rispettarlo (evitando per esempio di farlo leggere ad alta voce in classe davanti a tutti). Ma per questo non ci vuole una certificazione. 

Spesso inoltre la diagnosi rischia di costituire un ostacolo ulteriore per lo studente, soprattutto se ci troviamo in presenza di un falso positivo (ovvero in presenza di uno studente che presenta delle difficoltà negli apprendimenti riconducibili ad altro e non ad una condizione di DSA). In base a quanto emerge da una recentissima indagine condotta in Gran Bretagna, da Gibbs (2019) gli insegnanti adottano meno strategie di aiuto nei confronti dei bambini certificati rispetto a quelli  senza certificazione ma con difficoltà negli apprendimenti. La diagnosi certificata sembrerebbe attivare tutta una serie di credenze nell’insegnante, in merito alle difficoltà biologiche ed immodificabili dello studente, tali da influenzare le sue aspettative e di conseguenza anche l’approccio assunto nei confronti dello studente destinato ad un nefasto destino perché DSA. Gli insegnanti, stando a questo studio, si sentirebbero meno in grado di gestire ed aiutare effettivamente i propri studenti. Come conclude Gibbs alla fine del suo studio, questi risultati mettono in evidenza come le etichette diagnostiche riducono l’efficacia percepita negli insegnanti nel poter effettivamente aiutare i propri studenti. Di conseguenza, “bollare” un bambino potrebbe essere in ultima analisi inutile, se non dannoso, per il suo sviluppo psico-fisico e benessere complessivo.   

Si ricorda infine che la diagnosi certificata e la successiva messa in atto, nel contesto scolastico, di una didattica individualizzata e personalizzata (attraverso la predisposizione di un PDP) deve essere associata ad un adeguato intervento abilitativo e/o di potenziamento cognitivo al fine di promuovere e sviluppare le aree deficitarie (lettura, scrittura e calcolo) e rendere il bambino/ragazzo maggiormente autonomo, indipendente ed efficace negli apprendimenti e nelle prestazioni scolastiche.

In un prossimo articolo saranno affrontati alcuni fattori che possono influenzare gli apprendimenti scolastici, in base a quanto emerso dalla recente letteratura scientifica in materia.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:

Simon Gibbs, S., Jens F. Beckmann, J. F.,   Elliott, J., Metsäpelto, R-L., Vehkakoski T., & Aro M. (2019). What’s in a name: the effect of category labels on teachers’ beliefs. European Journal of Special Needs Education.

Tressoldi, P. E, & Vio, C. (2008). È proprio così difficile distinguere difficoltà da disturbo di apprendimento? Dislessia, 5(2),139-147. Erickson : Trento.

https://www.miur.gov.it/web/guest/-/scuola-pubblicati-i-dati-sugli-alunni-con-disturbi-specifici-dell-apprendimento.

La capacità di resistere alle tentazioni si sviluppa sin dalla più tenera età



Verso la fine degli anni ’60, all’Università di Stanford, lo psicologo Walter Mischel ha ideato uno degli esperimenti più famosi di sempre. Si tratta del test della gratificazione differita, più noto come marshmallow test, che valuta la capacità di posticipare una piccola gratificazione immediata per riceverne una più grande in un secondo momento. Il test si svolge grossomodo così: un bambino tra i tre e i sei anni riceve un dolce, come un biscotto o un marshmallow per l’appunto, e deve resistere per 15 minuti senza mangiarlo; se si trattiene riceverà un altro marshmallow. Lasciati soli, seduti al tavolo con l’invitante dolcetto sotto gli occhi, solo un terzo dei bambini riesce a resistere alla tentazione e può quindi avere accesso al secondo marshmallow. Il 75% dei bambini restanti dopo circa 5,72 minuti ha mangiato il dolcetto.           
Come documentato dalle registrazioni presenti su Internet (clicca qui per una breve esemplificazione), le strategie impiegate per resistere alla tentazione immediata sono diverse: c’è chi si tiene occupato giocherellando, chi allontana il piattino, chi rivolge lo sguardo altrove o si copre gli occhi, chi si limita a tastare, annusare o leccare il marshmallow.         
Quindi, ci sono bambini capaci di resistere seppur con difficoltà (come dimostrato dalla loro espressione sofferente), ed altri che invece non riescono a frenare l’impulso di mangiare il marshmallow che hanno davanti, cioè non riescono a tollerare la frustrazione di non poterlo mangiare subito, malgrado la prospettiva di poterne mangiare due qualora resistano.          
I primi (gli high-delayer) sono capaci di ritardare un piacere per ottenere un premio successivo, ma più gratificante (gratificazione differita), i secondi (low-delayers) optano per il soddisfacimento immediato del bisogno (gratificazione immediata). 
Il test ha inoltre rilevato differenze significative relative all’età; la capacità di resistere alla gratificazione immediata aumenta all’aumentare dell’età e sarebbe secondaria ad un progressivo sviluppo delle aree e dei circuiti cerebrali implicati nel controllo del comportamento.

Ma l’esperimento non si è semplicemente “limitato” alla constatazione di differenze individuali nella capacità di autocontrollarsi, di gestire gli impulsi e di tollerare la frustrazione.  Mischel non solo ha studiato le differenze individuali nella gratificazione differita, ma ne ha anche valutato le conseguenze nel tempo, sulla vita dei soggetti presi in esame. Gran parte dei 600 bambini del campione originale è stato sottoposto a studi di follow up, che proseguono ancora oggi. Diventati adolescenti, i bambini che all’epoca avevano saputo resistere alla tentazione di mangiare subito il dolcetto presentano risultati scolastici migliori, sono più sicuri di sé, in grado di pianificare il loro tempo, capaci di autocontrollarsi, di concentrarsi, di gestire lo stress, di tollerare meglio le frustrazioni e di riuscire a mantenere le amicizie, vengono inoltre considerati più responsabili dai genitori ed hanno probabilità inferiori di sviluppare problemi comportamentali.        
Il follow-up successivo ha riesaminato il campione quando i soggetti avevano raggiunto i 25-30 anni. Coloro che avevano resistito di più nel test del marshmallow avevano raggiunto i traguardi accademici più alti, erano stati capaci di realizzare obiettivi a lungo termine, di mantenere relazioni soddisfacenti, usavano meno droghe, avevano un indice di massa corporea più basso, presentavano inoltre maggiori capacità di adattamento e di gestione degli eventi negativi (resilienza).
Nel follow up più recente (2009) gli ex bambini, ormai quarantenni, sono stati sottoposti ad un esperimento analogo a quello del marshmallow e a procedure di imaging cerebrale. I risultati di questi ultimi studi hanno messo in evidenza una correlazione tra la capacità di posticipare da bambini una gratificazione e la capacità da adulti di inibire risposte automatiche e/o non lasciarsi distrarre da informazioni dell’ambiente non rilevanti (ad esempio premere più rapidamente e accuratamente possibile un bottone di fronte a un colore ed evitare di farlo di fronte a un altro). Chi aveva atteso il secondo dolce da piccolo se la cavava meglio con il test una volta adulto; la capacità di dominare gli impulsi è una caratteristica individuale relativamente stabile nel tempo.
Grazie alla risonanza magnetica funzionale sono stati individuati, inoltre, i correlati neurali implicati nel controllo degli impulsi: lo striato ventrale (un nucleo sottocorticale appartenente al sistema dei nuclei della base) e il giro frontale inferiore del lobo frontale. Lo striato ventrale è il centro del “circuito della ricompensa”, intercetta tutto ciò che dà piacere e che è coinvolto nel gioco d’azzardo patologico ed in tutte le dipendenze; il giro frontale inferiore invece è invece implicato nell’inibizione di comportamenti indesiderabili. Alla risonanza magnetica funzionale i soggetti che mostravano una prestazione peggiore in termini di autocontrollo mostravano un’attivazione esagerata dello striato ventrale ed un’attivazione insufficiente del giro frontale inferiore.    
Quale conclusione possiamo trarre da questo lungo esperimento? I bambini dotati di un maggiore autocontrollo, capaci di gestire cognitivamente gli impulsi, tendono ad avere più successo nella vita rispetto agli altri (l’autocontrollo è un indice predittivo di successo addirittura due volte più affidabile del QI!); del resto, è abbastanza evidente come l’incapacità di rinunciare ad un marshmallow subito a discapito della possibilità di averne due in un secondo momento sia analoga, ad esempio, alla tendenza dello studente a preferire l’immediato piacere di utilizzare i social o di vagare in rete senza una meta, piuttosto che studiare per un esame imminente.        
Questo importantissimo test è stato adattato anche per quei bambini non interessati al cibo e usando delle chip da poker al posto dei dolcetti; anche con tali adattamenti sono stati ottenuti i medesimi risultati.
Celeste Kidd (2013) ha mostrato inoltre come anche il contesto in cui cresce un bambino possa influenzare come si comporterà al test, e di conseguenza possa influenzare l’esito dei propri processi decisionali. I risultati dello studio hanno messo in evidenza come la decisione di aspettare una ricompensa maggiore piuttosto che riceverne rapidamente una minore sia fortemente influenzata dall’affidabilità dell’ambiente. Nello studio, i bambini in condizioni affidabili hanno aspettato molto più a lungo di quelli in condizioni inaffidabili, suggerendo che i tempi di attesa dei bambini riflettano convinzioni ragionate sul fatto che l’attesa alla fine ripaghi. Da questo punto di vista quindi, bambini che vivono in un contesto con pratiche educative non coerenti o incertezze, in cui è quindi difficile capire se e quando le promesse verranno mantenute, potrebbere decidere che aspettare (il secondo dolce) sia troppo rischioso.

Uno dei corollari di queste considerazioni è che possiamo aiutare i nostri figli ad avere successo nella vita insegnando loro l’autocontrollo, funzionale al perseguimento di obiettivi a lungo termine, al differimento della gratificazione e al controllo degli impulsi.   Come? Adottando pratiche educative coerenti, chiare e prevedibili.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Ayduk, O., & Mendoza-Denton, R., Mischel, W.,  Downey, G., Philip, P. & Monica, R. (2000). Regulating the interpersonal self: Strategic self-regulation for coping with rejection sensitivity. Journal of personality and social psychology, 79 (5), 776–792.

Casey, B. J., Somerville, L. H., Gotlib, I. H., Ayduk, 0.,  Franklin, N. F.,   Askren, M. K., Jonides, J.,   Berman, M. G.,  Wilson, N. L., Teslovich, T.,  Glover, G., Zayas, V.,  Mischel,W.,  Shoda, Y. (2011).  Behavioral and neural correlates of delay of gratification 40 years later. Proc Natl Acad Sci U S A. 108 (36):14998–15003.

Eigsti, I-M., Zayas, V., Mischel, W., Shoda, Y., Ayduk, O., Dadlani, M. B., Davidson, M. C., Aber, J. L, & Casey. B. J. (2006). Predicting Cognitive Control From Preschool to Late Adolescence and Young Adulthood. Psychological Science,17 (6): 478–484.

Kidda, C. , Palmeria, H.,  & Aslin R. N. (2013). Rational snacking: Young children’s decision-making on the marshmallow task is moderated by beliefs about environmental reliability.  Cognition, 126(1): 109–114.

Mischel, W., & Ebbesen, E. B. (1970). Attention in delay of gratification. Journal of Personality and Social Psychology, 16 (2): 329–337.

Mischel, W., Ebbesen, E. B., & Raskoff Zeiss, A. (1972). Cognitive and attentional mechanisms in delay of gratification. Journal of Personality and Social Psychology, 21(2), 204–218. 

Mischel, W., Shoda, Y & Rodriguez, L. M. (1989). Delay of Gratification in Children. Science, 244 (4907), 933–938.

Schlam, T. R., Wilson, N. L., Shoda, Y., Mischel, W., & Ayduk, O.  (2013). Preschoolers’ delay of gratification predicts their body mass 30 years later. The Journal of Pediatrics, 162 (1): 90–93.

Shoda, Y., Mischel, W., Peake, P. K. (1990). Predicting Adolescent Cognitive and Self-Regulatory Competencies from Preschool Delay of Gratification: Identifying Diagnostic Conditions. Developmental Psychology, 26 (6): 978–986.

Giorni di Chiusura di AGOSTO

Dopo tanto lavoro, ogni tanto è bene concedersi una piccola pausa per riposarsi e rilassarsi. Lo Studio resterà chiuso tutti i sabato di Agosto e dal 24 al 31 Agosto. Settembre è il mese dei buoni propositi, quindi è necessario ricaricare le pile.       
Sarà possibile in ogni caso contattarmi, inviando un messaggio alla posta della Pagina, contattandomi via mail: mariairno.mi@gmail.com o in alternativa scrivendomi qui: https://mariairnopsicologa.com/contact/.  

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e/o Iperattività (ADHD): Cos’è

L’irrequietezza, la disattenzione e l’impulsività sono comportamenti frequenti nei bambini. Quando l’iperattività, l’impulsività e la disattenzione sono tali da compromettere il funzionamento sociale, familiare, scolastico del bambino, allora probabilmente ci troviamo in presenza di un disturbo da deficit di attenzione e/o iperattività.

Sintomi dell’ADHD
L’ ADHD è un Disturbo del Neurosviluppo, con esordio nell’Età Evolutiva, caratterizzato da livelli elevati di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività-impulsività, come può risultare anche dalla somministrazione di test standardizzati.
La disattenzione consiste nella difficoltà a focalizzare in maniera selettiva l’attenzione su uno stimolo per un tempo prolungato. Nello specifico è caratterizzata da:
(a) difficoltà a prestare attenzione ai particolari, caratteristica che provoca di frequente errori di distrazione nei compiti  scolastici, sul lavoro o in altre attività;    
(b) difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; 
(c) tendenza ad essere altrove; spesso i bambini con adhd non sembrano ascoltare quando gli/le si parla direttamente;        
(d) difficoltà a seguire le istruzioni e a portare a termine i compiti di scuola, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro. Tale aspetto è riconducibile principalmente ad una difficoltà nel tenere a mente la consegna del compito;
(e) difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività varie (i bambini con difficoltà attentive possono presentare difficoltà nella pianificazione, nel monitoraggio e nella verifica della messa in atto di sequenze di azioni);
(f) tendenza ad evitare compiti che richiedono sforzo mentale  protratto (es. compiti a casa o a scuola);         
(g) frequente perdita degli oggetti necessari per i compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti assegnati, matite,  libri, ecc.);   
(h) facile distraibilità da stimoli esterni (come un mosca che entra nella stanza).

Per iperattività si intende una motricità eccessiva, come meglio specificato tali descrittori:
(a)spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia;       
(b) spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti;
(c) spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato (negli adolescenti e negli adulti può essere limitato al sentirsi irrequieti);                        
(d) è  spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente;        
(e) è spesso sotto pressione, agendo come se fosse “azionato/a da un motore”. 

In questo articolo (clicca QUI se sei interessato/a) vengono esplicitate alcune strategie comportamentali per ridurre l’impatto della disattenzione sul ben-essere psicofisico di vostro figlio.

Per impulsività si fa riferimento piuttosto alla difficoltà a pianificare un comportamento, valutandone le conseguenze; ad esempio spesso i bambini/ragazzi con Adhd
(f) parlano troppo;         
(g)“sparano” una risposta prima che la domanda sia stata completata;           
(h) hanno difficoltà nell’aspettare il proprio turno;      
(i) interrompono gli altri o possono risultare invadenti nei loro confronti.     

I sintomi di inattenzione o di iperattività-impulsività sono presenti già prima dei 12 anni e provocano una certa compromissione in due o più contesti (ad esempio, a scuola – o al lavoro- e a casa).

Diagnosi Differenziale

L’inquadramento diagnostico rappresenta un aspetto fondamentale per favorire una presa in carico adeguata e l’individuazione di strategie appropriate di intervento, nel rispetto della specificità dell’individuo e del /i contesto/i in cui è inserito.

Qui di seguito, solo alcuni esempi di diagnosi differenziale, a dimostrazione di quanto l’inquadramento diagnostico possa essere un processo delicato e complesso, basato su molteplici informazioni e dati, ricavati, ad esempio, attraverso scale di rilevazione del comportamento, questionari, batterie e tecniche testistiche, colloqui clinici, esami neuropsicologici e valutazioni osservative.

➀ Nello specifico, un soggetto con una condizione di ADHD può presentare, a causa di difficoltà attentive, un rendimento scolastico basso o non all’altezza delle proprie capacità cognitive; da questo punto di vista è necessario escludere (o verificare) che le difficoltà accademiche non siano l’espressione di un Disturbo Specifico nell’Apprendimento (DSA) (per saperne di più sull’argomento, clicca QUI). Vale anche la pena precisare che tali Disturbi del Neurosviluppo possono essere co-presenti (può quindi esserci una condizione di comorbilità), ovvero il soggetto può presentare un DSA accanto ad un ADHD.

➁ Il comportamento del bambino/ragazzo con ADHD può spesso far sospettare una condizione di Disabilità Intellettiva (ex Ritardo Mentale). Nel bambino/ragazzo con DI è compromesso in maniera significativa il funzionamento adattivo e cognitivo globale. Nel bambino con ADHD, invece, malgrado i deficit attentivi, risultano generalmente raggiunti gli standard di sviluppo personali e sociali. Va riconosciuto anche come, spesso, le difficoltà attentive e l’incapacità a mantenere per periodi di tempo l’attenzione su un compito determinano cadute prestazionali in test standardizzati tipicamente impiegati per la valutazione del funzionamento cognitivo (ad esempio, scale Wechsler). Tali difficoltà quindi possono provocare difficoltà nello stimare le reali capacità del soggetto, oltre a provocare errori diagnostici. Possono verificarsi fenomeni di comorbilità, ovvero un soggetto può presentare una condizione di Disabilità Intellettiva accanto ad un ADHD.

➂ I sintomi dell’ADHD possono essere simili ai sintomi del Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP, di cui parleremo più in dettaglio in un prossimo articolo). Nel bambino con ADHD i sintomi apparenti di ostilità o negatività sono dovuti alla difficoltà a mantenere l’attenzione in maniera adeguata per periodi protratti su uno stesso compito o attività. Viceversa, il bambino con DOP presenta un comportamento intenzionale di sfida con tendenza a violare o a non rispettare volutamente le richieste provenienti da figure che rappresentano l’autorità o le regole. Inoltre, se nel bambino con ADHD le difficoltà sul versante sociale e relazionale sono causate da un pattern di disattezione/impulsività (con conseguente incapacità a sincronizzarsi con l’altro), il bambino con DOP presenta la tendenza ad irritare deliberatamente gli altri.

➃ I sintomi comportamentali di impulsività tipici dell’ADHD, che spesso provocano una compromissione del funzionamento sociale, con difficoltà a stabilire e mantenere relazioni interpersonali adeguate, devono essere distinti dai comportamenti intenzionalmente lesivi e aggressivi tipici del Disturbo della Condotta, caratterizzato dalla violazione dei diritti fondamentali degli altri, oppure a trasgredire le principali norme o regole sociali associate all’età. Ove si riscontri un pattern di funzionamento caratterizzato da persistente disattenzione, iperattività e/o impulsività e violazione delle norme sociali e/o dei diritti altrui, ci troveremo probabilmente di fronte ad una doppia diagnosi.

➄ Il Disturbo da Deficit di Attenzione e/o Iperattività condivide alcune caratteristiche tipiche del Disturbo dello Spettro Autistico, come la disattenzione o le difficoltà nelle interazioni sociali; nel caso dell’ADHD tali caratteristiche non sono espressione di un’indifferenza alla socialità o di un disimpegno sociale, ma sono piuttosto provocati da condotte socialmente non approvate, frutto di un pattern di iperattività/impulsività.

L’inquadramento diagnostico, così come l’individuazione delle caratteristiche funzionali del soggetto (risorse e potenzialità, e non solo carenze e difficoltà) è fondamentale per l’individuazione di strategie di intervento efficaci ed efficienti.

Qui (clicca se sei interessato/a) le Linee Guida per la Diagnosi e la Terapia del Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività (ADHD), in età evolutiva, pubblicate dall’Istituto Superiore della Sanità.

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La disattenzione, Istruzioni per l’uso, Parte 1°

La disattenzione è una caratteristica di molti bambini, soprattutto nella prima infanzia. I livelli attentivi variano infatti in base alla motivazione e al coinvolgimento suscitato dall’attività in corso e in base alle condizioni emotive e fisiologiche di uno specifico momento. Ad esempio, un bambino può apparire distratto a scuola se è molto stanco ma anche se non è interessato all’attività in corso.

Quando la disattenzione diventa un problema?
Se il bambino presenta una propensione costante a distrarsi nella maggior parte delle attività e dei contesti in cui è coinvolto e ciò provoca conseguenze negative nel funzionamento scolastico, sociale e familiare, forse ci troviamo di fronte ad un problema che va oltre la semplice distrazione. Per verificarlo è necessario svolgere una valutazione specialistica, che prevede un’accurata raccolta anamnestica, un esame neurologico ed una valutazione neuropsicologica.

I bambini con difficoltà di attenzione generalmente:
(a) hanno difficoltà a prestare attenzione ai particolari e commettono errori di distrazione nei compiti  scolastici, sul lavoro o in altre attività;    
(b) hanno difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; 
(c) Spesso non sembrano ascoltare quando gli/le si parla direttamente;        
(d) Spesso non seguono le istruzioni e non portano a termine i compiti di scuola, le incombenze o i doveri sul   posto di lavoro. Tale aspetto è riconducibile principalmente ad una difficoltà nel tenere a mente la consegna del compito, per cui possono passare ad altro ed apparire come le trottole impazzite che iniziano un’attività o un compito per poi passare rapidamente ad altro, senza una ragione apparente.
(e) Hanno spesso difficoltà ad organizzarsi nei compiti e nelle attività varie (i bambini con difficoltà attentive possono presentare difficoltà nella pianificazione, nel monitoraggio e nella verifica della messa in atto di sequenze di azioni);
(f) Spesso evitano, provano avversione o riluttanza ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale  protratto (es. compiti a casa o a scuola);         
(g) Perdono spesso gli oggetti necessari per i compiti o altre attività (es. giocattoli, compiti assegnati, matite,  libri, ecc.);   
(h) Spesso sono facilmente distratti da stimoli esterni (come un mosca che entra nella stanza);
(i) Spesso sono sbadati nelle attività quotidiane.

Anche nei casi in cui non ci sono tutti i criteri per una vera e propria diagnosi, la disattenzione può creare notevoli difficoltà al bambino; diventano quindi necessarie delle strategie che i genitori possono utilizzare per allenare i bambini ed aumentare i tempi attentivi.

Nel prossimo articolo (clicca QUI se sei interessato) saranno esplicitate alcune strategie comportamentali per ridurre l’impatto della disattenzione sul ben-essere psicofisico di vostro figlio.


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La disattenzione, Istruzioni per l’uso, Parte 2°


Anche nei casi in cui non ci sono tutti i criteri per una vera e propria diagnosi, la disattenzione può creare notevoli difficoltà al bambino. Qui di seguito alcune strategie generali che i genitori possono utilizzare per sostenere ed aiutare i bambini ad aumentare i tempi attentivi.

Se sei interessato/a a capire quando la disattenzione diventa un problema, potrebbe esserti utile la lettura di questo articolo: https://mariairnopsicologa.com/2020/06/15/la-disattenzione-istruzioni-per-luso-parte-1/

1. Dare istruzioni e regole chiare visualizzabili al bambino : quando si comunica con un bambino che ha un problema di attenzione è importante utilizzare termini chiari e frasi brevi, dirette agli obiettivi che si vogliono perseguire. In questo modo si evita di confondere il bambino o di opprimerlo con eccessive richieste e si “aggirano” le sue difficoltà, aiutandolo nel mantenimento della consegna/compito da svolgere.

2. I compiti, le attività andrebbero scomposti in sequenze di azioni (chaining): si selezionano, cioè, dei macro-obiettivi che il bambino deve raggiungere e si scompongono in parti, da proporre una alla vota.

2.1 Per favorire la scomposizione del compito ci si può avvalere di strumenti che facilitano la visualizzazione dei passaggi in modo chiaro, riassumendo, ad esempio, magari con l’aiuto di vostro figlio, con immagini le diverse tappe che compongono il compito/attività da svolgere. In genere, la possibilità di avere delle immagini che riassumono in ordine la sequenza delle azioni, e che fungono quindi da promemoria delle azioni da svolgere, darà a vostro figlio la possibilità di percepirsi come bambino competente e lo aiuterà ad automatizzare progressivamente le suddette azioni.

3. Mantenere un atteggiamento calmo e sereno
: I bambini con difficoltà attentive non portano a termine attività, compiti o richieste a causa delle proprie difficoltà attentive e non per il gusto di sfidarci o disobbedirci. Non ha senso assumere un atteggiamento giudicante, o peggio punitivo. I fallimenti, di cui in genere sono consapevoli, sono “sufficienti” a minare ogni giorno la loro autostima e autoefficacia percepita. Mantenete la calma, evitate di prestare attenzione eccessivamente a quei comportamenti problematici che rischierebbero, altrimenti, di essere rinforzati. Sottolineate piuttosto, anche semplicemente attraverso feedback verbali o lodi, ogni tentativo o sforzo messo in atto da vostro figlio per svolgere in maniera attenta e/o corretta azioni e compiti.

4. Perfino le attività più banali i cui il bambino è coinvolto possono apparire per lui estremamente dispendiose. Vale la pena quindi, una volta esplicitate regole ed obiettivi chiari, pattuire insieme al bambino alcuni “premi” (rinforzatori) che potrà ottenere una volta raggiunto lo scopo prefissato. NO! Non vi sto suggerendo una tecnica per addestrare come un cagnolino vostro figlio, si tratta solo di una strategia efficace, stando ad evidenze empiriche, per motivare vostro figlio a mantenere l’attenzione e la concentrazione.

5. Cercare di creare quanto più possibile routine. Strutturare le giornate, specificando le attività aiuta il bambino a prevedere cosa accadrà, permettendo di risparmiare risorse attentive che potranno essere impiegate in altro modo.

Naturalmente questi sono solo alcuni suggerimenti generali che non tengono conto della diversità individuale e della specificità dei contesti in cui il bambino è inserito. Il comportamento è pur sempre una funzione dell’ambiente, motivo per cui vale la pena prenotare una consulenza specialistica per individuare strategie personalizzate più efficaci. Alcune ricerche (Sonuga-Barke, 2005) hanno messo in evidenza come le interazioni con l’ambiente possono influenzare in modo significativo lo sviluppo del bambino con comportamenti iperattivi.
Non è da escludere, inoltre, la possibilità di intraprendere training finalizzati all’accrescimento delle competenze attentive e di autoregolazione, al fine di sostenere in maniera più globale e completa lo sviluppo psico-fisico di vostro figlio, in una più appropriata dimensione di ben-essere.

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INDENNITÀ MENSILE DI FREQUENZA: Cosa fare in caso di Esito Negativo

In un precedente articolo (clicca QUI se sei interessato/a) sono stati descritti gli step necessari per richiedere l’indennità di frequenza.
Una volta ottenuto il certificato medico (dal pediatra o medico curante del minore), inoltrata online la richiesta all’INPS ed effettuata la visita medica, riceverete (nell’arco di alcune settimane) una raccomandata A/R con l’esito della visita. Il verbale è inoltre inoltrato all’indirizzo PEC, se fornito dall’utente, e resta disponibile nel servizio Cassetta postale online.           

In caso di esito negativo, entro 6 mesi dalla ricezione della raccomandata INPS, si può ricorrere al TAR. La procedura del ricorso è cambiata recentemente e, dal 2012, chiunque voglia fare ricorso deve obbligatoriamente effettuare un accertamento tecnico preventivo prima di dare avvio alla causa giudiziaria vera e propria.           
In sostanza è necessario recarsi presso il Tribunale di competenza (quello di propria residenza) e presentare l’istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie che legittimano la pretesa fatta valere. Se questo accertamento preventivo non viene effettuato, non si può arrivare davanti al Giudice.   
L’accertamento è compiuto da un Consulente Tecnico nominato dal giudice (CTU), alla presenza di un medico legale dell’INPS. La relazione tecnica redatta dal consulente deve essere trasmessa alle parti (cioè all’INPS e al ricorrente). Quest ultimo potrà, a sua volta, avvalersi di un Consulente Tecnico di Parte, CTP), affinché possa esserci un appropriato dialogo con il CTU, su base tecnico-scientifica.       

A quel punto, il Giudice, con decreto comunicato alle parti, fissa un termine non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del Consulente Tecnico dell’Ufficio.   


➀ In assenza di contestazione, il Giudice, entro trenta giorni, omologa con decreto l’accertamento del requisito sanitario presentato nella relazione del Consulente Tecnico d’Ufficio. In seguito il decreto è inappellabile, cioè non si possono più presentare ricorsi.

➁ Nei casi di mancato accordo, la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del Consulente Tecnico d’Ufficio deve depositare, presso lo stesso Giudice, entro il termine di trenta giorni dalla dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando i motivi della contestazione della relazione del consulente.


Da quel momento può iniziare l’iter con le udienze, e la presentazione delle consulenze di parte. Il giudizio si chiuderà con una sentenza inappellabile.
Il ricorrente è comunque tenuto ad appoggiarsi ad un legale che lo assista e sia presente nella prima udienza ed è inoltre a suo carico l’anticipazione delle spese per la consulenza tecnica.

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INDENNITÀ MENSILE DI FREQUENZA: Come ottenerla

In un precedente articolo (clicca QUI se sei interessato/a) è stato introdotto l’argomento dell’indennità di frequenza, un “sussidio” economico finalizzato a sostenere le famiglie con figli aventi difficoltà persistenti a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età. Nello stesso articolo sono specificati i criteri di inclusione e di esclusione per richiederlo.

Quali sono gli step per richiedere l’indennità di frequenza?

➡️ 1. È necessario il riconoscimento della “minorazione”, attraverso accertamento medico-legale e rilascio del verbale sanitario.  Questo punto sarà esplicitato in modo più dettagliato in questo articolo.

➡️
2. Recarsi dal pediatra (o medico curante del ragazzo) e chiedere di fare la richiesta di indennità di frequenza, in base alla legge 289/90.           
Il medico emetterà un certificato medico, trascrivendo la diagnosi con il relativo codice nosografico  e lo inoltrerà all’INPS per via telematica. In seguito all’invio del certificato riceverete una stampa di quest ultimo che dovrà essere esibito all’atto della visita. Verrà inoltre generata una ricevuta riportante il numero di certificato da inserito nella domanda.
     
N.B.: In presenza di una diagnosi di DSA (per saperne di più sull’argomento clicca QUI), ai fini dell’ottenimento dell’Indennità di Frequenza è necessario barrare la casella Invalidità. Questo non vuol dire che tuo figlio sia un invalido, si tratta di una categoria giuridica che serve esclusivamente come punto di riferimento agli operatori del diritto e ai medici per l’accertamento dei requisiti sanitari al fine di ottenere alcuni benefici e prestazioni economiche. Nella certificazione medica si barra “Invalidità”, in caso di DSA, semplicemente perché nella modulistica INPS non è contemplata alcuna casella relativa all’Indennità di Frequenza.   
Si barrerà, invece, la casella Hanticap per ottenere prestazioni e benefici previsti dalla Legge 104/92, cioè in caso di disabilità.      

A seguito dell’ottenimento del certificato medico la domanda dovrà essere presentata all’INPS entro 90 giorni.         

➡️ 3. Presentare la domanda all’INPS           
Una volta ottenuto il certificato medico introduttivo e il numero di certificato, attraverso il servizio dedicato si inoltra online la domanda all’INPS, accedendo all’area riservata con il codice PIN e codice fiscale del minore, seguendo questo percorso sul portale INPS: Servizi on-line–> Servizi per il Cittadino –> Invalidità civile –> Invio domanda di riconoscimento dei requisiti sanitari.

In alternativa si può fare domanda tramite gli enti di patronato, o tramite le associazioni di categoria dei disabili (ANMIC, ENS, UIC, ANFASS) usufruendo dei servizi telematici offerti dagli stessi.    

➡️ 4. In seguito all’invio della domanda sarà generata una ricevuta di presentazione della domanda, riportante la data di presentazione di quest’ultima, i dati del minore e il numero di protocollo della domanda.

➡️ 5. Presentarsi alla visita medica    
Nel giro di 3 mesi verrete chiamati dalla commissione per visita; si tratta di un colloquio di qualche minuto.
Alla visita occorre portare con voi tutta la documentazione del minore (certificato medico elaborato dal pediatra (o medico di famiglia), diagnosi, certificazione, …      
In più a questa documentazione può essere aggiunto la documentazione relativa a tutte le spese necessarie, come, potenziamento cognitivo, doposcuola specialistico, programmi compensativi, acquisto del computer e  in generale tutto i costi emessi.    
Le visite della Commissione Medica sono generalmente brevi; pur prevedendo alcune domande al minore, si basano esclusivamente sulla documentazione in vostro possesso.

➡️ 6. Dopo la visita riceverete, nell’arco di alcune settimane, una raccomandata A/R con l’esito della visita. Il verbale è inoltre inoltrato all’indirizzo PEC, se fornito dall’utente, e resta disponibile nel servizio Cassetta postale online.           
In caso di esito positivo è prevista la compilazione e l’invio di documenti per la verifica dei requisiti socio-economici, seguendo questo percorso sul portale INPS: Servizi on-line –> Servizi per il Cittadino –> Invalidità civile –> Invio dati socio-economici e reddituali per la concessione delle prestazioni economiche.      

In caso di esito negativo, entro 6 mesi dalla ricezione della raccomandata INPS, si può ricorrere al TAR.
Se sei interessato/a all’argomento, clicca QUI

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INDENNITÀ MENSILE DI FREQUENZA: Che cos’è?

CHE COS’ È?          
L’indennità di frequenza (Legge n. 289/1990) è una prestazione economica, erogata su apposita domanda, finalizzata alla cura, alla riabilitazione, all’inserimento scolastico e sociale dei minori con difficoltà persistenti a svolgere compiti e funzioni proprie dell’età, fino al compimento della maggiore età.

REQUISITI
L’indennità di frequenza spetta a chi:

  • ha meno di 18 anni *;
  • ha avuto, a seguito di accertamento sanitario:           
    a. il riconoscimento di difficoltà persistenti a svolgere compiti e le funzioni proprie della minore età; oppure
    b. perdita uditiva superiore a 60 decibel nell’orecchio migliore nelle frequenze 500, 1.000 e 2.000 hertz; 
  • ha cittadinanza italiana (o cittadinanza in uno Stato membro dell’Unione Europea, o di uno Stato terzo, purché abbi regolare permesso di soggiorno validità annuale – art. 41, Testo Unico immigrazione); 
  • ha residenza stabile e abituale sul territorio nazionale;        
  • frequenta in maniera continua o periodica centri ambulatoriali, centri diurni anche di tipo semi-residenziale, pubblici o privati, operanti in regime convenzionale, specializzati nel trattamento terapeutico, nella riabilitazione e nel recupero di persone portatrici di handicap;
  • frequenta scuole pubbliche o private di ogni ordine e grado a partire dagli asili nido;
  • frequenta centri di formazione o addestramento professionale pubblici o privati, purché convenzionati, finalizzati al reinserimento sociale dei soggetti;
  • si trova in stato di bisogno economico.         

* I minori titolari di indennità di frequenza, entro i sei mesi precedenti il raggiungimento della maggiore età, possono presentare domanda ai sensi della Legge 114 del 2014 per il riconoscimento delle prestazioni economiche spettanti ai maggiorenni. Non è obbligatorio presentare il certificato medico.L’INPS procede alla liquidazione in via provvisoria delle prestazioni economiche spettanti al compimento dei 18 anni. La prestazione potrà essere confermata solamente dopo l’esito positivo del successivo accertamento sanitario e della presentazione del modello AP70 per la verifica dei requisiti socio-economici previsti dalla legge.

INCOMPATIBILITÀ
L’indennità di frequenza è incompatibile con:

  • qualsiasi forma di ricovero;
  • qualsiasi altra forma di indennità di cui il bambino è già beneficiario (come l’indennità di accompagnamento o di comunicazione); è ammessa la facoltà di opzione per il trattamento più favorevole;
  • reddito annuo personale (riferito al minore)  non superiore a € 4.906,72

IMPORTO DELLA INDENNITÀ             
L’indennità viene corrisposta in date mensili, di importo aggiornato annualmente, per tutta la durata della frequenza.    
Per il 2020 l’importo è di € 286,81 mensili. Il limite di reddito personale annuo (riferito al minore) è pari a € 4.906,72.

L’indennità decorre dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda all’INPS. L’indennità viene corrisposta per 9 mesi all’anno, ovvero durante la frequenza scolastica, fino al raggiungimento della maggiore età. Le rate mensili non vengono, quindi, corrisposte a settembre, luglio, agosto, a meno che non si certifichi la frequenza estiva a centri riabilitativi o a corsi convenzionati con l’ASL.

Ogni anno i titolari di indennità mensile di frequenza devono inviare all’INPS (tramite il loro tutore) una dichiarazione periodica relativa alla sussistenza dei requisiti di legge, inoltrando il certificato di frequenza scolastica.

Se sei interessato/a all’argomento clicca QUI per dettagli in merito all’iter per ottenere l’indennità di frequenza.

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